Le consacrazioni compiute nel 1988 rappresentano un atto di natura scismatica?

Fonte: FSSPX Attualità

La benevolenza mostrata dal Santo Padre alla Fraternità San Pietro, con il genere di indulto concesso in relazione alla Traditionis custodes, dà ragione a coloro che hanno voluto "contenere la Messa tradizionale entro il perimetro visibile della Chiesa"? E il fatto che la Fraternità San Pio X continui a celebrare questa Messa al di fuori di questo "perimetro visibile" costituisce uno scisma?

1. Il sito Claves.org è l'organo ufficiale della Fraternità San Pietro, l'equivalente di ciò che La Porte Latine è per il Distretto di Francia della Fraternità San Pio X. Nella sezione "Teologia", Padre Louis-Marie de Blignières, della Fraternità Saint Vincent Ferrier, ha recentemente pubblicato una serie di "Interviste libere sull'estate 1988". La terza intervista, pubblicata nella pagina del 28 aprile 2022, si intitola "Perché non abbiamo seguito le consacrazioni".

2. Tutta la spiegazione del Padre domenicano poggia su un unico presupposto: seguire le consacrazioni, cioè approvare l'atto compiuto da Mons. Lefebvre il 30 giugno 1988, equivarrebbe a non mantenere la comunione gerarchica con la Santa Sede di Roma. Ammesso quello, tutto il resto si regge.

Se le consacrazioni episcopali dell'estate 1988 rappresentano un atto di natura scismatica, è chiaro che i sacerdoti e i fedeli del cosiddetto movimento "Ecclesia Dei" hanno ragione.

Gli altri aspetti dell'approccio che li ha portati a cercare di ottenere da Roma un regime di favore per la Tradizione, le loro intenzioni personali, le loro preoccupazioni e le loro pene, sono ovviamente secondari e accidentali rispetto a questo presupposto principale.

E, naturalmente, non è anche su questi aspetti secondari, ma piuttosto su questo presupposto principale che porta la valutazione critica della Fraternità San Pio X e la ragione precisa della sua profonda divergenza dal detto movimento. Qualsiasi altra cosa sarebbe solo un fraintendimento.

3. Padre de Blignières non si sofferma a dimostrare il suo presupposto. "Quello che volevamo", scrive, "era chiaro e difficile: mantenere la Messa tradizionale entro il perimetro visibile della Chiesa, per usare un'espressione di Jean Madiran, cioè nella comunione gerarchica".

Tutto poi è avvenuto – almeno nella mente del Padre – come se, da sole, le consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988 avessero minato questa comunione ed escluso Mons. Lefebvre e i suoi fedeli dal perimetro visibile della Chiesa.

Tuttavia, nel n. 1 del Motu proprio Ecclesia Dei afflicta, con il quale papa Giovanni Paolo II valuta ufficialmente la portata di queste consacrazioni, esse vengono presentate dalla Santa Sede come motivo di tristezza per la Chiesa, perché consacrano il fallimento della tutti gli sforzi finora compiuti dal Papa "per assicurare la piena comunione con la Chiesa alla Fraternità Sacerdotale di San Pio X".

È quindi chiaro che, agli occhi di Giovanni Paolo II, non furono le consacrazioni del 30 giugno 1988 a minare la comunione della Fraternità con la Chiesa. Il problema della "piena comunione" era sorto prima – "finora" – e non sono state le consacrazioni compiute da Mons. Lefebvre a dare origine a questa annosa difficoltà.

I successivi numeri, 3 e 4, inoltre, fanno la distinzione tra la portata dell'atto consacratorio in sé (al n. 3) e le ragioni ben più profonde che sono all'origine della controversia che oppone la Fraternità alla Santa Sede ( al n. 4). Perché, si dice nel n. 4: "La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione".

In quell'estate dell'anno di grazia 1988, sono dunque due opposte concezioni della Tradizione – e quindi del bene comune della Chiesa – a confrontarsi.

4. Tutto dipende allora non dalle consacrazioni, ma dal Vaticano II, cioè dall'ecumenismo, dalla collegialità e dalla libertà religiosa. Mons. Lefebvre lo ha spiegato a sufficienza, in molte occasioni e soprattutto nell'omelia del 30 giugno 1988, dove già rispondeva al biasimo che gli sarebbe stato rivolto due giorni dopo.

"Mi sembra di sentire la voce di tutti quei papi a partire da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, che dicono: "a partire dal Concilio, ciò che noi abbiamo condannato ecco che le autorità romane l’adottano e lo professano, com’è possibile?".

"Noi abbiamo condannato il liberalismo, noi abbiamo condannato il comunismo, il socialismo, il modernismo, il sillonismo, tutti questi errori che noi abbiamo condannato ecco che oggi sono professati, adottati, sostenuti dalle autorità della Chiesa: com'è possibile?"

La "contraddittoria nozione di Tradizione" è quindi riconducibile alla Roma odierna, a questa cosiddetta Roma "conciliare" per il fatto stesso di affermare di appartenere al Concilio Vaticano II, i cui insegnamenti sono contrari alla Tradizione della Chiesa.

E se questa nozione "contraddittoria" di Tradizione è la radice profonda dello scisma, questo riguarda attualmente Roma, questa Roma odierna che rompe con la Roma di sempre. Lo scisma non poteva essere a Ecône, che si distingue da questa Roma attuale per rimanere fedele alla Roma di sempre.

Giovanni Paolo II può ben dire che "non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell'apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell'unità nella sua Chiesa": questo rimprovero è lanciato contro Mons. Lefebvre proprio da colui che per primo ha spezzato il famoso vincolo ecclesiale, affrancandosi dagli insegnamenti dei suoi predecessori.

Come può infatti Giovanni Paolo II affermare di rimanere in comunione con i Papi Leone XIII, San Pio X, Pio XI e Pio XII compiendo due volte (1986 e 2002) la scandalosa cerimonia di Assisi? Il principio stesso di questo approccio ecumenico e interreligioso è esplicitamente condannato dall'Enciclica Mortalium animos del 6 gennaio 1928, appena sessant'anni prima delle consacrazioni a Ecône.

5. È quindi facile sfatare l'altro aspetto del biasimo in cui è apparentemente incorso Mons. Lefebvre. La sua nozione di Tradizione sarebbe "incompleta" perché non terrebbe sufficientemente conto del "carattere vivo della Tradizione". In realtà, questa Tradizione vivente non esiste. È una contraddizione in termini ed è una delle invenzioni del Concilio Vaticano II, in rottura con tutto il precedente Magistero della Chiesa.

Il Motu Proprio crede di poter giustificare questa idea distorta di Tradizione viva facendo affidamento sul famoso n. 8 della costituzione Dei Verbum, che sancisce la confusione tra Tradizione, che è trasmissione di verità rivelate da Dio, compiuta dal Magistero, e la percezione di queste stesse verità da parte dei fedeli che le ricevono dalla predicazione del Magistero.

Una cosa è la trasmissione, un'altra è la percezione di ciò che viene trasmesso. La percezione ha luogo, e in modo sempre megliore; progredisce, di fatto e soprattutto grazie alla predicazione del Papa e dei vescovi.

Ma la trasmissione non procede nel senso che la Chiesa non possiede ancora definitivamente la pienezza della verità. Con questa concezione evolutiva della Tradizione vivente, il Concilio ha aperto le porte alla "ermeneutica della riforma", di cui Benedetto XVI si è fatto teorico nel Discorso del 22 dicembre 2005 [1].

6. Tale è la ragione profonda per cui la Santa Sede ha condannato Mons. Lefebvre e il suo operato, e per la quale Padre de Blignières e i suoi discepoli si sono rifiutati di seguire le consacrazioni: la definizione di Tradizione e di Magistero.

Il n. 5 del motu proprio fondativo della Pontificia Commissione omonima afferma che " l'ampiezza e la profondità degli insegnamenti del Concilio Vaticano II richiedono un rinnovato impegno di approfondimento, nel quale si metta in luce la continuità del Concilio con la Tradizione, specialmente nei punti di dottrina che, forse per la loro novità, non sono stati ancora ben compresi da alcuni settori della Chiesa".

È quindi l'idea di Tradizione vivente, applicata al Vaticano II, in tutte le sue conseguenze, che impedisce di "seguire le consacrazioni" e che esige l'adesione dei fedeli e dei sacerdoti a beneficio dei quali il Papa vuole stabilire questa nuova Commissione.

7. Questa idea conciliare e modernista della Tradizione vivente è la causa principale della divisione che ancora imperversa tra i cattolici della Tradizione. E, in definitiva, il vero motivo per cui Padre de Blignières e i suoi amici non hanno voluto seguire le consacrazioni, è che non hanno visto tutta la nocività di questo nuovo concetto, e hanno preferito "mantenere la messa tradizionale" entro il perimetro visibile di un'obbedienza mal compresa.

Don Jean-Michel Gleize

Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, ecclesiologia e dogma al Seminario Saint-Pie X di Ecône. È il principale collaboratore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali tra Roma e la FSSPX tra il 2009 e il 2011.

 

[1] Si veda l'articolo “Magistero o Tradizione Vivente” nel numero di febbraio 2012 del Courrier de Rome.